Il diritto dello spettacolo e le nuove tecnologie
Collana: Quaderni di diritto delle arti e dello spettacolo
ISBN: 978-88-31222-64-8
Pagine: 114
Formato: 17 x 24 cm
l diritto dello spettacolo è una disciplina complessa che, nel corso degli ultimi anni, ha ricevuto una crescente attenzione da parte del legislatore. In particolare, è del novembre del 2017 la legge delega sullo spettacolo dal vivo che fissava l’obiettivo di giungere alla approvazione del c.d. “Codice dello Spettacolo”.
L’obiettivo del webinar è stato quello di intavolare un dialogo tra gli operatori del mondo dello spettacolo e i giuristi, in un momento storico del tutto peculiare quale quello che stiamo vivendo. Le misure di contenimento individuate dal Governo in relazione alla migliore gestione della pandemia Covid-19 hanno certamente fatto emergere peculiarità e specifiche difficoltà di questo settore, che è e deve rimanere centrale per la nostra società. In questo dibattito, prioritario diviene il riferimento alle nuove tecnologie, esplicitamente menzionate nell’ambito della legge delega del 2017. È inevitabile riconoscere che il loro impiego, da un lato, faccia emergere evidenti carenze di tutela per gli operatori del settore – basti pensare alle criticità connesse alla diffusione delle opere su Internet e alle relative conseguenze, sostanziali e processuali – e, dall’altro lato, possa costituire un formidabile strumento di diffusione del pensiero, principio fondamentale del diritto delle arti e dello spettacolo.
Il webinar è stato organizzato dall‘Università degli Studi dell’Insubria – Dipartimento DiDEC – Diritto, Economia e Culture – Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza Sede di Varese – Focus in Diritto e Nuove Tecnologie, dal Centro di ricerca di Diritto svizzero dell’Università degli Studi dell’Insubria e da SIEDAS – Società Italiana Esperti di Diritto delle Arti e dello Spettacolo.
Il diritto e le altre arti
Barbara Pozzo
Introduzione
Fabio Dell’Aversana, Francesca Ferrari
Giullari, comici dell’arte, professionisti stabili… e poi? Immaginare nuove forme artistiche, organizzative e giuridiche per lo spettacolo
Laura Aimo
Profili transnazionali nella tutela del diritto d’autore
Paolo Bertoli
Lo sguardo del giuslavorista sul diritto dello spettacolo
Andrea Bollani
L’inquadramento dello spettacolo e dell’artista tra lacune ed esigenze attuali
Angelisa Castronovo
Spettacolo e nuove tecnologie: quale diritto oltre l’emergenza?
Fabio Dell’Aversana
Lo sviluppo dello spettacolo a geometria variabile
Caterina Farao
La tutela del diritto d’autore e il mondo del web
Francesca Ferrari
Le nuove tecnologie al servizio della lirica: verso altre forme di spettacolo dal vivo?
Geo Magri
Tute servare, munifice donare: l’intervento della Fondazione Cariplo a sostegno dello spettacolo
Sarah Maestri
Le tipologie contrattuali giuslavoristiche nello spettacolo
Andrea Nobili
L’arte del doppiaggio alla ricerca di tutele
Monica Pariante
L’esperienza di una sassofonista tra America ed Europa
Ada Rovatti
Il management culturale e il mondo dello spettacolo
Maurizio Roi
Diritti, etica e nuove tecnologie nelle prospettive di sviluppo del mondo dello spettacolo, fuori dal Covid
Stefano Sabelli
La posizione di UNITA sul Codice dello spettacolo
Fabrizia Sacchi
Le istituzioni e il Codice dello spettacolo: una promessa e un impegno
Francesco Verducci
Conclusioni
Giorgio Assumma
Ringraziamenti
Che il lavoro nel mondo dello spettacolo sia, molto spesso, un lavoro povero e precario è un dato di esperienza comune. Ma è vero anche che esso – quando presenta tali caratteristiche – non è portatore, di per sé, di un bisogno di tutela e di protezione normativa poi così diverso da quello che ricorre in ogni altro settore produttivo.
Qui varrà ricordare che le tutele apprestate dal diritto del lavoro, latamente inteso, possono svilupparsi, ed in effetti normalmente si sviluppano, lungo due distinte linee direttrici, che investono, da un lato, il piano del rapporto contrattuale tra debitore e creditore della prestazione lavorativa e, dall’altro, il piano delle tutele dispensate dal sistema previdenziale ed assistenziale, ossia da quell’insieme di provvidenze che lo Stato ed i suoi enti strumentali erogano a fronte di situazioni di bisogno, di varia natura, che accompagnano la vita dei lavoratori, soprattutto durante fasi o periodi di non lavoro.
Il dibattito giuslavoristico degli ultimi vent’anni si è fortemente incentrato – sia sul piano dell’elaborazione delle politiche del diritto, sia su quello dell’analisi e dell’interpretazione delle riforme legislative intervenute – sul primo dei due versanti. In particolare, si è soffermato sull’articolazione tipologica dei rapporti di lavoro, vale a dire su un variegato insieme di modelli negoziali, ora interni all’area del lavoro subordinato, ora invece riconducibili all’area del lavoro autonomo, accomunati dal loro carattere flessibile o precario. Si è così a lungo indugiato sul problema giuridico della qualificazione del rapporto – al fine di stabilire quale disciplina applicarvi, tenuto conto del considerevole divario di trattamento normativo che separa le diverse fattispecie – quando sarebbe stato sicuramente più opportuno, ancorché più difficile, cercare di costruire un minimo comune denominatore di tutele universalmente valevoli per tutte le forme di lavoro.
Non è di questo tipo di tutele, però, che a mio avviso necessita oggi, con maggiore urgenza, il lavoro nel settore dello spettacolo, anzitutto alla luce delle sue irriducibili peculiarità, che rendono impensabile immaginare come modello contrattuale normotipico quello del lavoro subordinato a tempo indeterminato. E l’auspicio, che spesso si ascolta, rivolto all’adozione di interventi legislativi finalizzati a prescrivere modelli ideali, o addirittura connotati da finalità di carattere etico, non può non mettere in guardia il giurista; in realtà, le norme di diritto, e in particolare del diritto del lavoro, proprio perché impattano significativamente sulla vita delle persone, debbono perseguire scopi realisticamente raggiungibili, misurandosi con la realtà e calandosi nel mondo del possibile. Le riforme legislative non debbono servire, parafrasando Max Weber, a salvare l’anima o la coscienza di chi le scrive; più prosaicamente, dovrebbero cercare di salvare i corpi e gli interessi materiali di chi lavora, proiettandosi nella dimensione di quanto sia effettivamente realizzabile. Si pensi, ad esempio, alla fallimentare esperienza applicativa del cd. Decreto dignità, che muovendo dall’ingenua ed illusoria idea secondo la quale, restringendo i canali di accesso al lavoro a termine, i datori di lavoro avrebbero poi assunto più lavoratori a tempo indeterminato, altro non ha fatto che alimentare un turnover più intenso tra i lavoratori, i quali, raggiunto il periodo massimo di lavoro a termine, vengono a quel punto semplicemente avvicendati, alimentando dunque quella stessa precarietà che il legislatore – seguendo le proprie astrazioni – intendeva sedare.